Le mutilazioni genitali femminili in Italia:
una realtà da affrontare


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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito le mutilazioni genitali femminili (MGF), come: “tutte quelle procedure che comportano l’asportazione parziale o totale dei genitali esterni femminili o altri interventi dannosi agli organi genitali arrecati tanto per ragioni culturali quanto per altre motivazioni non terapeutiche”. Si tratta di una serie di pratiche che mirano ad alterare la conformazione degli organi genitali femminili esterni per finalità non terapeutiche, ma culturali, religiose e sessuali. Sono principalmente diffuse presso gruppi ed etnie dei Paesi dell’Africa subsahariana e della penisola arabica, ma sono praticate anche in Europa e in Italia, per effetto dell’immigrazione. L’OMS stima che sono dai 100 ai 140 milioni le donne nel mondo sottoposte a MGF e che le bambine sottoposte a tali pratiche sono, ogni anno, circa 3 milioni.

Le mutilazioni genitali femminili sono un evento traumatico per la tipologia dell’intervento invasivo, per l’età in cui vengono praticate e per le conseguenze fisiche e psicologiche.  Nello specifico nelle bambine, i traumi possono derivare dall’intervento in sé e da come viene praticato, ma anche dalle conseguenze fisiche e dalla ferita del tradimento delle figure affettive di riferimento.

Le mutilazioni genitali femminili sono considerate abusi su minori che sono associati a una serie di sequele psicologiche tra cui ansia, depressione, rabbia e irritabilità. Gli studi sulle conseguenze psicologiche nelle bambine (Puliatti, 2013), mostrano una molteplicità di disturbi che comprendono disturbi alimentari, del sonno, del comportamento e dell’apprendimento.

Secondo le stime dell’Onu, nel mondo vengono adottati circa 260.000 bambini all’anno. La maggior parte trova una nuova famiglia nel proprio Paese. Nell’Unione Europea il 57% delle adozioni sono nazionali, mentre nel 40% dei casi il bambino arriva da un Paese extracomunitario. La quasi totalità delle adozioni coinvolge bambini al di sotto dei 9 anni e per lungo tempo l’Italia è stato uno dei Paesi che ha effettuato più adozioni: i dati dicono che nel decennio 2004-2014 sono stati adottati oltre 36.000 bambini.

A seguito di questi numeri, in Italia sono aumentate le richieste di consulenza psicologica di coppie che, avendo adottato bambine provenienti dal continente africano, scoprono che sono state sottoposte a MGF. Una scoperta che avviene quasi sempre dopo aver adottato la bambina, e che suscita nei genitori reazioni di shock.

La scoperta della presenza di mutilazioni nella figlia adottata, di solito avviene con le prime cure igieniche se la bambina è molto piccola o, se la bambina è più grande, perché lamenta prurito o bruciori. Le implicazioni di questa scoperta sono di natura diversa e variano da individuo a individuo. Generalizzando, però, possiamo dire che spesso la reazione di coppia è tipica del trauma e viene affrontata in modo simile ai genitori che scoprono un abuso sessuale nel loro bambino.

La famiglia si trova ad affrontare nella vita quotidiana eventi e situazioni che possono riattivare il trauma nella bambina, come ad esempio: visite mediche, ma anche feste di compleanno, che potrebbero ricordare la festa successiva alla mutilazione che la bambina potrebbe aver vissuto. Non si tratta di eventi rari. La bambina, successivamente all’evento riattivante, può manifestare aggressività, terrore, dissociazione, ritiro emotivo, e spesso sono proprio queste reazioni emotive a portare i genitori a contattare uno specialista.

A volte a questo pesante fardello si aggiunge per le bambine una traumatizzazione secondaria, legata alla reazione dei genitori adottivi quando di fronte alla modificazione hanno reazioni di shock, allontanamento e rifiuto.

E’ necessario normalmente lavorare contemporaneamente con i genitori e con la bambina per avere i risultati migliori, iniziando anche in modo separato tra adulti e minore, per facilitare il passaggio successivo.

Sono percorsi dolorosi, ma necessari per costruire un’armonia familiare che sia completa e duratura. Questa realtà deve spingere a contrastare culturalmente queste pratiche, almeno in Italia, dove la conoscenza e le possibilità di interrompere abitudini così dolorose dovrebbe essere più facile.

La dott.ssa Maria Puliatti è molto attiva su questo fronte e tiene corsi a terapeuti, oltre che seguire famiglie con una bambina che ha subito MGF.


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